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E' innegabile che la relazione terapeutica con ogni paziente sia unica, e pur nella necessaria distanza e neutralità del professionista, ogni persona tocca delle corde interne diverse e muove aspetti emotivi peculiari. Questo fa sì che nasca e perduri l'alleanza terapeutica, quel legame empatico che facilita e favorisce la riuscita della terapia, o a volte anche solo la percezione soggettiva del paziente di sentirsi meglio, accolto e contenuto, sorretto e supportato. Legame a volte difficile, relazione che obbliga a un costante monitoraggio interno su quello che ci succede mentre siamo in seduta proprio con quella persona. Tengo sempre tra i miei punti di riferimento una frase detta da una mia docente, grande professionista e grande donna, la Dott.ssa Daniela Marafante, durante un workshop sull'Ombra: “Nelle relazioni, non solo terapeutiche, collocatevi alla giusta distanza, per poter toccare, ma per non essere catturati”. Ecco, esiste una giusta distanza? Non credo esista in termini assoluti, la grossa capacità umana e terapeutica consiste nel sapersi muovere tra questi due poli in modo elastico, in base alle necessità e ai bisogni del momento, propri e altrui. In un momento della mia vita, in seguito a una terapia con una paziente che mi ha coinvolto particolarmente, ho sentito l'urgenza di mettere su carta questa esperienza, e così è nato il mio libro, Il cuore di Ginevra. Prima, e forse unica, esperienza editoriale, nel marzo 2012 decido di pubblicare quello che fino a quel momento era solo una raccolta di pensieri su un quaderno scritto con la mia stilografica, sera dopo sera, notte dopo notte, seduta dopo seduta, emozione dopo emozione. La storia di una donna che ho accompagnato per qualche anno, debitamente modificata per tutelarne la privacy, e della sua storia d'amore con un uomo con un disturbo narcisistico di personalità. Insomma, una libro di una donna, da una donna, per le donne. Dopo la presentazione alla libreria Feltrinelli di Como, un'intervista a Ciao Como Radio, e la vendita delle copie, i feedback che ho ricevuto sono stati tantissimi. Donne che si sono riviste nella storia di Ginevra, donne con una dipendenza affettiva che mi hanno ringraziata per aver condiviso quell'esperienza, donne spinte e spronate dal fatto che lei alla fine ce l'avesse fatta. A liberarsi da qualcosa di patologico che la teneva legata, a rompere l'incantesimo e ricominciare finalmente a vivere. Ecco, quando capita che mi chiedano perché amo il mio lavoro, e perchè l'ho scelto, questo è sicuramente uno dei motivi. Avere la fortuna, seppur a volte nella fatica, di accompagnare qualcuno nel suo cammino di rinascita, nella scoperta del suo vero e profondo Sé. Questo è qualcosa che bisognerebbe sentirsi dentro, il Daimon per dirla come Hillman. Perché, come mi piace dire, non faccio la psicologa, sono una psicologa.

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